Avevo visitato Budapest nel 1988. Quella era stata la prima e ultima volta per me in questa città, e ai miei occhi da liceale un po’ snob e supponente, era apparsa grigia, austera, ammuffita e incolore, anche se certamente affascinante, come tutte le città dell’Est Europa, che a quei tempi e a quell’età erano considerate “comuniste” senza distinzioni di storia, tradizioni, cultura.
Arrivando oggi, ricordo quell’atteggiamento di immotivata superiorità “occidentale” verso quei paesi e città da considerare “sfigati”, atteggiamento che in parte sopravvive anche oggi, tanto sciocco e immotivato oggi come allora.
Entro da Buda a Pest attraversando l’Herzsébet hid, in un pomeriggio di sole che fa scintillare la città come un cristallo multicolore, cancellando immediatamente e per sempre l’immagine che conservavo di questa città.
In un sabato pomeriggio affollato e caotico, passeggiando per le vie del centro di Pest, tra vetrine di marchi di lusso e botteghe per turisti, una sfilata di Hare Krisna mi proietta in una strana dimensione, fatico a ricordare se sono a Budapest o a Londra o Berlino.
Per fortuna le bancarelle di cibo di strada, immancabili e sempre immerse in nuvole di fumo tra goulash, krumpli e langos, un tortino di patate fritto e guarnito con panna acida crema d’aglio e pancetta, mi riportano alla dimensione meno spersonalizzata e più identitaria della città.
Profumi e sapori che percorrono tutti i viali della città dal moderno e caotico Rakoczi ut al lussuoso e ombreggiato Andrassy ut, fino alle scalinate nel bosco che salgono alla Cittadella e al Bastione dei Pescatori, o alla Sinagoga e nel vivace e quartiere ebraico, simbolo della nuova vitalità della città con i suoi locali e i singolari Ruin Pub.
Città veramente danubiana, di passaggio e di fiume, un fiume transeuropeo che trasporta veloce le identità e contamina chi tocca, fiume che divide la città in due, e che è bellissimo da seguire nel suo percorso ai piedi di Buda, su un battello del trasporto pubblico: con meno di un euro e cinquanta, una crociera fluviale su un vaporetto uguale a quelli che percorrono il canal Grande a Venezia, partendo magari dalla fermata dell’Isola Margit, e rimbalzando da una sponda all’altra per ammirare la città, anzi le città, Buda e Pest, dalla prospettiva insolita del fiume.
E proprio il Danubio, fiume che divide a metà Budapest, allo stesso tempo la unisce con i suoi ponti monumentali, il Ponte delle Catene ma anche tutti gli altri, dal Petofi al Margit hid, imponenti e scenografici, e simbolo di quello che è questa città: un vero ponte tra culture occidentali, balcaniche, orientali e caucasiche; proprio alla fine del Ponte Elisabetta (l’Herzsébet hid da dove sono arrivato) Budapest ritrova nel Nagy Vasarcsarnok, il bellissimo mercato coperto, la sua identità nei banchi di frutta, spezie, macellerie e banchi di pesce fresco, che riuniscono in un unico luogo gusti e profumi noti e altri sconosciuti, familiari ed altri esotici, in un atmosfera retrò e un po’ caciara, non sempre autentica ma coinvolgente, che è lo specchio di questa città ancora in viaggio e alla ricerca della sua identità più sincera.